“Le idee agitano la superficie piana della vita”. “Rinata. Diari e taccuini 1947-1963” di Susan Sontag

 

71zhx5+a76lRinata. Diari e taccuini 1947-1963 è il primo dei tre volumi dei diari e appunti di Susan Sontag pubblicati a cura di David Rieff, figlio della scrittrice, e editi in italiano da nottetempo, nella traduzione di Paolo Dilonardo.

Il volume raccoglie le riflessioni scritte da Sontag tra i quattordici e i trent’anni, mostrando al lettore il percorso, non sempre lineare, di costante scoperta e riscoperta di sé, frutto non solo di una crescita spontanea, ma anche – e soprattutto – di un consapevole e volontario desiderio di “autoinvenzione” e autoaffermazione della scrittrice, alla ricerca della propria voce e identità.

Nella dettagliata prefazione scritta da Rieff, viene affrontata una delle questioni maggiormente dibattute quando si ha a che fare con la pubblicazione postuma di diari o altri scritti di natura privata: l’adeguato trattamento, vale a dire, di questo materiale, per il quale spesso (anche se non sempre) gli autori non lasciano particolari indicazioni. Il caso di Sontag, in questo senso, non fa eccezione.

Scrive suo figlio: «Ho sempre pensato che una delle cose più stupide dette dai vivi a proposito dei morti sia la frase “la tale persona avrebbe voluto così…”». Infatti, dopo la morte di sua madre, avvenuta a causa della sindrome mielodisplasica il 28 dicembre 2004, Rieff non aveva idea di come organizzare, e quindi pubblicare, le pagine di quei numerosi taccuini che Sontag aveva conservato ordinatamente nel proprio guardaroba per una vita intera, insieme ad altri oggetti come fotografie di famiglia o ricordi d’infanzia, e per i quali non aveva mai lasciato alcuna istruzione, anche perché «lei continuò a credere, fino a poche settimane prima della sua morte, che sarebbe sopravvissuta» e che, forse, se ne sarebbe occupata in prima persona.

Qualunque fossero le intenzioni della scrittrice, comunque, difficilmente combacerebbero esattamente con la decisione presa dal figlio e rivelatasi, tuttavia, indispensabile poiché Sontag, quando era ancora in salute, aveva venduto tutto il suo archivio alla University of California di Los Angeles che, da accordi, avrebbe conservato e presumibilmente reso accessibile al pubblico la sua intera produzione scritta, inclusi i diari: per Rieff, quindi, rinunciare all’organizzazione e pubblicazione di tale materiale significava assegnare inevitabilmente il compito a qualcun altro. Lavoro che, al contrario, ha deciso di effettuare egli stesso, mosso dalla volontà di restituire un’immagine di sua madre che fosse il più veritiera possibile, senza smussarne o addolcirne alcun aspetto: «Ho incluso nella selezione molti giudizi estremamente severi espressi da mia madre. Lei “giudicava” tantissimo. Ma rendere manifesto questo tratto del suo carattere […]  vale a dire inevitabilmente invitare il lettore a giudicarla».

Uno degli aspetti più difficili da gestire per Rieff nel corso delle scelte operate durante la selezione dei passi da inserire nei tre volumi dei diari è senza alcun dubbio il rapporto di sua madre con la propria omosessualità, mai negata dalla stessa, ma sulla quale evitava spesso di pronunciarsi, specialmente negli ultimi anni della sua vita. Inevitabile affrontare la questione, però, soprattutto in questo primo volume, poiché è proprio l’identità sessuale della scrittrice (e il suo riconoscimento) a fare da perno all’intera raccolta; è ad essa che si collega anche l’affermazione: «So la verità adesso – So come è bello e giusto amare – Mi è stato dato, almeno in parte, il permesso di vivere – Tutto comincia adesso – Sono rinata», da cui il titolo del volume.

La propria sessualità, però, permette alla scrittrice anche di mettere in risalto il senso di inadeguatezza provato per il proprio corpo e per l’eros in generale, che fortemente contrasta con la sicurezza manifestata nei confronti del suo intelletto; tale scissione è riconosciuta dall’autrice già in un appunto del 1949: «Questo fine settimana ha splendidamente riassunto […] la mia più grande infelicità: la tormentata dicotomia tra corpo e mente di cui ho sofferto negli ultimi due anni».

Una mente insaziabile, quella di Sontag, sempre attenta a nuovi stimoli e “educata” dalla scrittrice ad apprendere il più possibile dalla realtà circostante: ogni pagina, oltre a presentare riferimenti ad eventi quotidiani, è impregnata di filosofia (soprattutto quella morale, che come scrive Sontag «mi indica […] i sentimenti che dovrei provare»), musica, arte, cinema (Rieff ci ricorda, in una nota, che uno dei taccuini del 1961 è interamente dedicato ai film visti da sua madre) e, ovviamente, letteratura. Sontag redige vere e proprie liste contenenti autori da studiare o approfondire (fra i tanti, ricordiamo Gide, Dostoevskij, Moore, Rimbaud, Verlaine, Apollinaire o Faulkner), rifiutando l’impostazione accademica in virtù di una completa libertà intellettuale, capace di soddisfare la sua vocazione primaria, ossia quella di essere «una custode della cultura». Scrive nel 1962: «Leggere per me è fare incetta, accumulare, immagazzinare per il futuro, riempire il vuoto del presente. Fare sesso e mangiare sono attività completamente diverse […]. A loro non chiedo niente, neppure un ricordo».

Gli appunti sono spesso frammentari, alcune frasi non hanno una conclusione oppure si susseguono come elenchi puntati o “flussi di coscienza” ricchi di rimandi ad altri autori o agli argomenti delle lezioni seguite all’università. Ciò che colpisce maggiormente il lettore, comunque, è la lucidità con cui Sontag vede se stessa e il mondo attorno a lei; una consapevolezza che la conduce, già da adolescente, a porsi domande come «…E cosa significa essere giovani e diventare improvvisamente consapevoli dell’angoscia, dell’urgenza della vita?», alle quali seguono risposte sorprendentemente accurate, considerando la giovane età:

Significa captare un giorno gli echi di coloro che non si adeguano, uscire barcollando dalla giungla e precipitare in un abisso:

Significa, dunque, essere ciechi ai difetti dei ribelli, agognare dolorosamente, pienamente, tutto ciò che si oppone a un’esistenza infantile.

[…] Significa la rinuncia agli affetti familiari e a tutti gli idoli dell’infanzia… Significa menzogne… e risentimento, e poi odio…

[…] Significa l’amara e implacabile messa in discussione nelle motivazioni…

Con il passare degli anni appare sempre più evidente il ruolo affidato da Sontag alla scrittura diaristica, che assume la forma di uno spazio tramite cui confermare costantemente il suo ruolo di scrittrice e rafforzare la propria personalità, più in generale: «Perché scrivere è importante? È soprattutto una questione di egotismo, suppongo. […] Rafforzando un po’ il mio ego – come attraverso il fait accompli offerto da questo diario – conquisterò la certezza di avere anche io (io) qualcosa da dire, qualcosa che deve essere detto. Il mio “io” è gracile, cauto, troppo sano di mente. I buoni scrittori sono egotisti sfrenati, fino alla fatuità».

E la scrittura, proprio come il suo intelletto, diventa sempre più inscindibile dall’identità sessuale, la quale è descritta dall’autrice come un’arma di cui servirsi nelle battaglie combattute durante la sua vita intera: «Il mio bisogno desiderio di scrivere è connesso alla mia omosessualità. Ho bisogno di questa identità come di un’arma, da contrapporre all’arma che la società usa contro di me».

I diari di Susan Sontag non vogliono essere un mero «ricettacolo dei propri pensieri privati, segreti». Essi hanno una funzione ben precisa: quella di permettere alla scrittrice di costruire, decostruire e dare nuova forma alla propria identità; e di affermare quest’ultima, nonostante le contraddizioni e le incertezze, con piena consapevolezza e determinazione.

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